L’illusionismo dell’innovazione (urbana): l’esperienza del Laboratorio Spazi

di Comitato per la Promozione e la Tutela delle Esperienze Sociali Autogestite


L’articolo che segue riporta una riflessione scritta a più mani a inizio 2019 da alcune persone parte dell’ex Comitato per la Promozione e la Tutela delle Esperienze Sociali Autogestite (ESA)*. L’articolo fa riferimento ad alcune questioni critiche emerse durante la partecipazione come Comitato ESA al Laboratorio Spazi, laboratorio coordinato nel 2018 dalla Fondazione Innovazione Urbana con la finalità di “ridisegnare le politiche e gli strumenti di gestione e affidamento di immobili di proprietà comunale”.
Ci sembra sensato che queste riflessioni, che non hanno avuto allora una forma pubblica, trovino ora a distanza di qualche anno uno spazio di pubblicazione (con un’integrazione finale) attraverso D(i)ritti alla città, con lo scopo di contribuire alla memoria collettiva cittadina dal basso e oltre alla retorica istituzionale.
Sono molti i punti di continuità tra le questioni sollevate in quel momento e i principi espressi nel Manifesto per gli spazi pubblici dismessi. Anche se le realtà cambiano e si trasformano, continuiamo a portare avanti le stesse battaglie per l’accessibilità e l’autogestione degli spazi pubblici!

* Il Comitato ESA è nato nel 2014 con lo scopo di promuovere e tutelare le Esperienze sociali autogestite già esistenti nel territorio di Bologna, nonché di favorire la nascita e la moltiplicazione di nuove esperienze che assumano l’autogestione e l’orizzontalità decisionale quali propri principi guida. Si è sciolto nel 2019. https://comitatoautogestione.noblogs.org/


Per una nuova politica degli spazi in città” (PNPS) è il documento conclusivo del Laboratorio Spazi, laboratorio “partecipato” proposto dall’amministrazione cittadina e facilitato dalla Fondazione per l’Innovazione Urbana (FIU), ex Urban Center. Tale documento ha lo scopo di fornire delle linee guida all’amministrazione per la costituzione di un nuovo regolamento per l’assegnazione degli spazi immobili comunali. Come Comitato ESA abbiamo partecipato ai cinque incontri del laboratorio (che si sono svolti tra giugno e novembre 2018), ai quali erano presenti realtà cittadine tra loro molto eterogenee (centri sociali anziani, associazioni, cooperative, imprese culturali, gruppi informali, spazi sociali).

Partecipazione o solo ascolto?

Il processo fin dall’inizio è stato criticato dai partecipanti in quanto, differentemente da ciò che era stato preannunciato dalla FIU, non è stato possibile definire collettivamente le caratteristiche del processo stesso (numero di incontri, scelta delle date, tempi e orari, contenuti).

La facilitazione, molto strutturata, ha lasciato poco spazio di confronto tra le realtà, e si è spesso tradotta in un botta e risposta tra facilitatore/rice e singolo/a partecipante. In questo senso ci sembra di poter definire il Laboratorio Spazi più come un momento di raccolta e rielaborazione delle varie istanze piuttosto che come un processo realmente partecipativo.

Quale innovazione?

Il documento PNPS si pone sostanzialmente in continuità con le modalità già in atto di assegnazione e gestione degli spazi pubblici in città. In particolare non viene modificato il ruolo centrale e prevalente della amministrazione pubblica nella scelta di quali spazi assegnare e con quali finalità d’uso. Non ci sembra che sia stato introdotto alcun elemento realmente innovativo rispetto al dibattito sui Beni Comuni che anima il panorama nazionale ed internazionale, sebbene molte realtà abbiano sollecitato la Fondazione sulla necessità di fare un reale passo in avanti. Secondo quanto descritto da chi ha condotto questo percorso, invece, sarebbe stato introdotto un elemento di grande novità. Qual è la nuova proposta? Le Assemblee Territoriali (pag 15 punto d. del documento), ovvero unica modalità che permetterebbe a soggetti informali e autogestiti di partecipare all’assegnazione di uno spazio comunale.

Ciò non è totalmente vero e non appare di certo una novità: nel “Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani” del 2014 (allegato alla delibera PG n. 45010/2014, come modificato dalla delibera PG n. 9961/2018), che all’art. 5 ha introdotto i famigerati Patti di Collaborazione, vi era già la possibilità per i soggetti informali, individuati come “cittadini attivi” ex art. 4, di vedersi affidato un luogo. Sebbene già prevista, tale modalità non è però mai stata messa in pratica per l’assegnazione di uno spazio, né davvero valorizzata dalla amministrazione comunale. Perché questa volta dovrebbe funzionare?

Al solito: tutti contro tutti e vinca il migliore…

La novità delle Assemblee territoriali non è altro che la riproposizione della coprogettazione inserita all’inizio di un iter di cui l’amministrazione ha sempre il controllo. Tale coprogettazione facilmente si traduce in una competizione tra le varie realtà per il posto in palio, posto che non può essere proposto dal basso ma che viene deciso dall’amministrazione attraverso un avviso pubblico con il quale si aprono i lavori. Se infatti le parti non dovessero trovare un accordo entro un tempo stabilito (due incontri di un’ora!) per unire le diverse progettualità, l’amministrazione mantiene il compito di decidere quale fra i soggetti partecipanti abbia il diritto di sottoscrivere il patto di affidamento (p.12 PNPS). È irrealistica la possibilità di costruire un progetto comune in così poco tempo, tra realtà eterogenee e che non si conoscono.

Allora la “novità” è questa?

In presenza di ampia condivisione all’interno dell’assemblea sul modo di gestire l’immobile, la governance dell’immobile viene affidata direttamente all’assemblea stessa attraverso la stipula di una convenzione tra l’amministrazione e un comitato di garanti, che ha il compito di assicurare il rispetto delle regole e degli obiettivi che l’assemblea si è data” (pp.10-11 del PNPS).

Anche qui, nessuna novità ma come al solito un passo indietro! Poteva essere un’occasione per promuovere un modello di riconoscimento degli spazi e di indipendenza e autonomia delle assemblee degli stessi. Invece nella proposta della FIU non c’è riconoscimento di questa autonomia ma vengono semplicemente modificati i numeri e il controllo viene affidato a un comitato interno di garanti: se prima la responsabilità legale era di uno ora è trina o più!

Niente di nuovo a Bologna…

Nella sostanza, quindi, non vi sono grandi modifiche: il ruolo decisionale dell’amministrazione nell’assegnazione degli spazi in città rimane inalterato e si fa un uso strumentale dell’autogestione con il solito tentativo di appropriazione, solo lessicale, delle pratiche nate dal basso. Nessun passo avanti rispetto all’importante dibattito in corso sui beni comuni, nonostante il Laboratorio Spazi vi abbia più volte fatto esplicito riferimento, invitando anche come ospiti esperti realtà autogestite che in Italia hanno contribuito a sollevare il tema dei beni comuni in maniera seria e arricchente (quali, l’ex Asilo Filangeri di Napoli e Macao di Milano).

Quello che emerge dal percorso del Laboratorio e dall’esame del documento finale è il riproporsi del modello partecipativo alla bolognese: il risultato è predefinito prima ancora che il processo abbia inizio. In un articolo della rivista Asini, “Partecipazione senza potere“, cui rinviamo, tale modello è stato analizzato e sviscerato in profondità. Nuovamente le istituzioni si sottraggono al dibattito sugli spazi in città – che non sono solo immobili, ma anche piazze, giardini, luoghi abbandonati e privati. Evitando il confronto e costringendo di fatto esperienze consolidate a frammentarsi e a scendere a patti con la FIU e con altri soggetti partecipanti all’avviso pubblico,l’amministrazione ribadisce che la sua finalità non è conoscere e valorizzare le espressioni della cittadinanza, ma piuttosto controllare e indirizzare queste realtà per poter costruire un proprio consenso e pensare così di risolvere anche questioni politiche legate all’esistenza di spazi cittadini (antagonisti).

Integrazione successiva (che non sapevamo ancora quando abbiamo scritto queste riflessioni):
Rispetto alle criticità sopra riportate ci pare emblematica la mancanza di comunicazione e trasparenza da parte della FIU sugli sviluppi del processo, in particolare relativamente all’approvazione (o meno) da parte del Consiglio comunale del documento conclusivo del Laboratorio, il PNPS, e alla successiva applicazione dello stesso.
A conclusione del Laboratorio (novembre 2018) ci era stato annunciato un convegno per l’inizio del nuovo anno in cui il PNPS sarebbe stato presentato pubblicamente, e al quale sarebbero stati invitati anche i tre garanti esterni, previsti dal PNPS (pag. 25). In seguito, grazie anche al contributo dei pareri dei garanti, si sarebbe dovuto ridiscutere collettivamente nell’ambito del Laboratorio delle eventuali modifiche introdotte dall’amministrazione. Ciò non è mai avvenuto né ci è stata data notizia in merito. A distanza di qualche settimana di silenzio, la FIU ha pubblicato un avviso pubblico per 5 immobili * mettendo così in pratica la “sperimentazione” presentata nel PNPS.
È poi emerso che il PNPS poteva essere attuato senza modificare i regolamenti già presenti per l’assegnazione degli spazi, a dimostrazione che nulla è sostanzialmente cambiato!

* Uno degli immobili presenti nell’avviso pubblico è quello di via Fioravanti 12 (Banca Rotta). Si rimanda all’articolo pubblicato su questo stesso sito.